domenica 11 novembre 2012

Le cronache di Belforte : il dilemma morale di Concetto Santalepre, detto Ciccino Santalepre (racconto in due parti)


“Nominativo?”
“Santalepre Concetto”.
“Saltalepre?”
“No no.. Sann.. Sa..nn..talepre..”
 “Tutto attaccato Santalepre?”
“Si tutto attaccato”
Questo, è quanto accadeva in un giorno sperduto e vispo del lontano Febbraio del 1989, all’ufficio anagrafico per i nuovi esercizi commerciali del comune di Belforte, dove Concetto Santalepre si recò a dare “giusto battesimo” alla sua nuova pasticceria.
Rigoglioso mese, quel Febbraio 1989, pregno di segni propiziatori di buona speranza: benché Khomeini avesse messo al bando l’ultimo romanzo di Salman Rushdie e molti italiani fossero purtroppo morti in un incidente aereo nei tropici, pur tuttavia in Paraguay era finita la dittatura di Stroessner e in Sudan un gruppo di archeologi italiani aveva scoperto gli antichi resti di un prezioso insediamento, che una volta era tutto d’oro, ma che ora d’oro aveva solo il nome.
E soprattutto Fausto Leali e Anna Oxa avevano vinto Sanremo con “Ti lascerò”.
Concetto Santalepre, per gli amici Ciccino, aveva pensato che quello fosse il momento giusto, da un punto di vista cosmico, per dare battesimo al negozio di pasticceria che era sempre stato un mai realizzato sogno paterno.
Quello era proprio il momento giusto.
E così nel Febbraio del 1989 aveva aperto la saracinesca del piccolo ma voluttuoso negozio “Dolce Concetto”. Una pasticceria in cui essere serviti in modo attento e garbato, che agli occhi di Concetto era la vetta piramidale di un’autostrada di sogni che viveva da generazioni e generazioni, ma che mai si erano concretizzati e finalmente vedevano manifesta conformazione in quel piccolo delicato angolo di Belforte.
E quando si dice generazioni, si vuol dire generazioni. Discendenze di maschi Santalepre, che di volta in volta, per un motivo o per l’altro, si erano ammogliati a donne maestre nell’arte pasticciera.
Il nonno di Concetto, che pure lui di nome faceva Concetto, ad esempio, era stato militare nella Prima Guerra Mondiale, partecipando nel Giugno del 1917 alla terrificante battaglia per la presa del Monte Ortigara, contro gli austriaci. Incredibilmente ne era rimasto vivo, sebbene privato di entrambe le mani. E tornato da quell’abominio una cosa sola aveva saputo dire sempre a coloro che gli chiedevano come avesse fatto a sopravvivere alle cannonate, alla neve, alla perdita della prima mano e poi della seconda, “avevo troppo desiderio di mangiare ancora un volta, un’ultima volta, la cotognata di mia moglie”. Che era una signora cotognata!
Il padre di Concetto figlio, nonché figlio di Concetto nonno, tal Cosimo Santalepre, dal canto suo, aveva sempre sperato di poter tramutare in guadagno economico la maestria dolciaria della moglie che tanto beneficio portava allo splendore dei pranzi domenicali. Ma niente. La brava donna non si era mai lasciata tentare dal dio denaro, convinta com’era, che nelle sue mani così sapienti in gastronomia, scorresse principalmente un’energia divina, un dono mistico, una magia celeste, che non era giusto tramutare in soldo. E tanto era convinta di questo, che aveva pure smesso di toccare i soldi, per non insozzarsi le dita, che sennò smettevano di essere il tramite creativo tra la sua essenza e la sua arte . Di più, col tempo si era convinta che se mai una donna Santalepre avesse unito l’arte al commercio, sarebbe incorsa in rapida sventura. E questo, a dirla tutta, non aveva molto aiutato la scelta del partner da parte del figliuolo, che si era sempre percepito come diviso tra due intense correnti marine contrapposte. Ma alla fine, era riuscito a trovare la chiave di volta per risolvere la situazione, senza deludere nessuno.
Il buon Ciccino,  così chiamato per venir distinto dall’eroico nonno, aveva probabilmente ereditato dal padre il sogno di fare soldi con i dolci, e dalla madre la passione per le energie astrali, che orientano i destini e le fortune. E sentiva che in quel negozio si manifestava un intento generazionale. Il nome “Dolce Concetto”, proveniva proprio da questo sentimento che per decenni aveva attraversato i Santalepre. Diversamente dai suoi predecessori, egli non si era accasato con una donna dalle grandi doti culinarie, a dirla tutta, ma in compenso la signora Agostina aveva il bernoccolo per i numeri: brava, bravissima a fare conti su merci in entrata e prodotti in uscita, IVA, IRPEF e tutto quanto. E c’era di più, Agostina aveva una sorella, Filomena, abbastanza bruttarella, che non era mai riuscita a trovare marito e aveva, lei si!, il dono della cucina. In breve, la sorella era entrata a far parte della famiglia, e Concetto aveva pensato che quella fosse la condizione perfetta, per far si che il sogno familiare si concretizzasse, visto che Filomena era parte della famiglia, ma non era moglie, dunque poteva fare i dolci, senza che il commercio lenisse la sua creatività, ed in più c’era Agostina che avrebbe tenuto i conti. A Concetto spettava di tenere unita a sé la clientela. Nel corso degli anni, questo triangolo aveva avuto successo, perché Agostina teneva i bilanci alla perfezione, Filomena s’inventava ogni mese nuove sgolosanti meraviglie e Ciccino aveva trasformato il “Dolce Concetto” in un luogo in cui non solo degustare e comperare, ma anche fermarsi per una “dolce sosta”, chiacchierando con un titolare sempre pronto all’ascolto ed al buon consiglio.
Tra alti e bassi, il “Dolce Concetto” aveva tenuto botta per la bellezza di 23 anni, affrontando crisi economiche, mucche pazze e pure l’apertura di un centro di riferimento regionale  per la cura del diabete nella grande città poco distante.
Fino alla morìa del 2012, quando era arrivata la disgrazia.
Sul finire del 2011, la figlia Lucilla, nata come la pasticceria nel fortunoso 1989 (per l’esattezza, 9 mesi dopo l’apertura della pasticceria), aveva chiesto sostegno ai genitori per aprire in paese un piccolo negozio di abbigliamento, principalmente intimo e costumi da mare. Concetto all’inizio era rimasto un po’ perplesso, ma si era lasciato convincere da Agostina, la quale sapeva bene che la figlia aveva ereditato da lei la capacità di tenere sott’occhio le spese e dal padre la proverbiale socievolezza. Del resto, pensava Concetto, l’arte del commercio, come quella della chiacchiera, era una dote antica dei Santalepre, se è vero che il cognome derivava, a quanto storicamente tramandato, da un verso della commedia teatrale “Il Filosofo”, scritta nel XV secolo da Pietro Aretino: “Le grazie di santa lepre son le mie tu quinci, la quale nel romperglisi de la spalla, levava le palme al cielo, poi che non aveva fiaccato il collo”.  Questo verso stava nel mezzo di un colloquio tra un commerciante e una banda di ladri che lo invitavano a entrare nella loro banda, sostenendo che commercio e brigantaggio sono eguali. E questo verso veniva sempre ripreso da Concetto, per sostenere che l’etica professionale ed una morale incorruttibile erano sempre stati il primo augusteo parametro di riferimento della carriera sua e dei Santalepre nel suo complesso. Il dubbio sul fatto che esistesse un reale legame tra il suddetto cognome e la suddetta commedia era sempre persistito, in verità, ma Concetto ne aveva sempre sostenuto la veridicità e la volontà filiale di aprire un nuovo diverso esercizio di bottega era sembrato un momento in cui tenere fede all’antico dettame: per cui meglio commercianti ambiziosi ma onesti, che ladri!
Il negozio di Lucilla  era partito inizialmente un po’ come sempre succede: tante spese e pochi guadagni. Oltretutto (Concetto lo pensava ma non si sognava di dirlo) l’apertura si era venuta a concretizzare in un periodo astrale non proprio fausto, a causa di alcuni contrattempi che ne avevano ritardato l’avvio oltre il mese che lui aveva consigliato.
A ciò si aggiungeva un altro ostacolo. Per quanto egli fosse stato sempre padre disponibile al dialogo con la figlia, tuttavia stavolta si trovava a trattare un argomento che aveva vergogna ad affrontare: le mutande da donna. Non che non fosse accaduto che clienti della pasticceria gli avessero parlato di problemi sentimentali: era accaduto in più occasioni, certo. Ma parlare di intimo femminile con la figlia lo inquietava non poco. Quando andava a trovare la figlia al negozio si faceva forza per non imbarazzarsi, cercando di trattare l’argomento come “pura merce da vendere e niente altro”, ma sentiva che ad un certo punto le guance iniziavano a bruciargli e doveva trovare una scusa gentile per salutare la figlia ed allontanarsi.
La tattica paterna allora, si era concretizzata in un continuo tentativo di carpire informazioni dalla moglie, la quale, diversamente da lui, andava spesso al negozio della figlia.  Raramente aveva cercato di sapere qualcosa anche dalla cognata, ma sapeva di poterci fare poco affidamento, in quanto lei, bruttarella com’era, si teneva poco in considerazione sotto l’aspetto fisico, e non frequentava negozi di vestiti, figurarsi quelli di intimo! Onde per cui, il più delle volte chiedeva alla moglie, la quale da par suo gli rispondeva “ma scusa tanto.. ma perché non ci vai più spesso a trovare tua figlia in negozio? Non ci vai mai! Magari ha bisogno di te!”. Concetto, con un senso di colpa che gli intorpidiva all’istante i bei guanciotti cicciottosi, solitamente incassava e si riprometteva di andare più spesso la figlia. E poi non lo faceva.
E fino alla metà di Marzo 2012 era andata così.
Poi, la svolta.
Un bel giorno, Lucilla, nel corso della pausa pranzo, aveva dato il grande annuncio.
“Ho svoltato! Stavolta ho svoltato!”.
“Che ci fu?”,  aveva risposto la madre, versandole la pasta con i frutti di mare nel piatto.
“Grandi cose! Ho stretto un contratto con una ditta di Milano. Fanno costumi meravigliosi!”.
“Di Milano?”, aveva risposto il padre.
“Si, di Milano. Bellissimi papà”.
Costumi, costumi da mare. Bellissimi costumi da mare. La zia Filomena, in silenzio, ascoltava attenta guardando il piatto. Le sue orecchie erano attraversate da quelle semplici parole, che in breve avevano attivato la sua silente fantasia. Costumi da mare bellissimi. In silenzio fissava il piatto di pasta: per un istante le sembrò che gli spaghetti iniziassero ad ondeggiare vagamente.
“Ma a Milano li sanno fare i costumi?”, aveva detto candidamente Concetto.
“Ma me lo spieghi che domanda è???”, aveva subito risposto inferocita Agostina.
“Cioè..- aveva detto Concetto diventando arancione- è solo una domanda.. Mica c’è bisogno ti scaldi così..”
“Qual è il tuo dubbio papà?”
La discussione s’accendeva e Filomena nel frattempo osservava il suo piatto: tra un gamberetto e una vongola intravedeva se stessa nella spiaggia: i capelli sciolti, la pelle ambrata, un bikini verde. Verde smeraldo. Il colore della sensualità.
“Mi chiedo solo che cosa ne possano mai sapere i milanesi di costumi da mare, visto che mare e spiagge non ne hanno… tutto qui..”.
“Ah.. – disse, pietrificandosi, Agostina- Tu ti chiedi che ne sanno a Milano di costumi, visto che non hanno il mare”
“si…”, fece Concetto, sentendosi sempre più piccolo.
Poi fu il silenzio. Agostina e Lucilla si sentirono improvvisamente avvinte da un senso di impotenza.
Filomena, assente ai suoni e alle asprezze, sprofondava nei sogni di bikini che si erano aperti tra le vongole. La scena era sempre più definita.  Il sole vagamente al tramonto e lei, splendente tra gli spaghetti, coglieva l’ultimo sole come una novella Calipso.
“Vedi papà..”, fece per dire Lucilla, non potendo però proseguire perché Agostina già sbottava, pallida verdognola in viso, con la mani sui fianchi: “MA IO CHI HO SPOSATO ???? MA CHI SEI TUUUUU ?????”
Calipso come squarciata da un doloroso lampo di realtà, ritornò alla sua essenza di Filomena la bruttarella con i capelli col tuppo.
“Papà… anche se i milanesi non hanno il mare.. vabbè..  comunque lo conoscono.. l’hanno visto nella vita almeno una volta, ti pare ?”, provò a rabberciare Lucilla.
"E IN OGNI CASO I BIKINI MICA LI CUCIONO I PESCATORI ! ”, urlò Agostina.
“Io vendo dolci, ma il latte e le mandorle e tutto il resto lo conosco!”
“MA CHE VENDI TU ?? PASSI TUTTO IL GIORNO A PARLARE CON LE PERSONE ! PARLASSI DI MENO E VENDESSI DI PIU’ !”
Insomma figura di merda.
Lucilla lo guardava con la tenerezza di una figlia che sa che il padre ha lavorato tutta la vita con costanza e dedizione per darle la possibilità di costruirsi un futuro.
“E come sono questi costumi?”, si provò a dire Concetto.
“Bellissimi! Ho già visto il catalogo e ne ho ordinati alcuni. A breve me li inviano”.
E così accadde. Nel giro di 10 giorni arrivarono i costumi e soprattutto arrivarono i manifesti pubblicitari della nuova linea, che furono affissi nelle strade principali di Belforte. Giovani modelle, dai lunghi capelli e dalle forme perfette sfoggiavano su spiagge assolate, bikini di arcobalenica natura, che le rendevano simili ad irraggiungibili dee.
Da lì in poi iniziò l’ecatombe. Il dramma inatteso e funesto.
Le signore del paese iniziarono, prima alla spicciolata, poi sempre più spavalde ed accanite, ad andare al negozio di Lucilla, per provare questi costumi.
Tutte innamorate di questi bikini.
Tutte desiderose di indossarli.
Tutte pronte a provarli nel camerino del negozio di Lucilla, che cominciò ad ipotizzare di dover comprare un semaforo per dare ordine alla fila che si creava.
Tutte decise ad entrare in quei costumi.
Tutte decise a fare sacrifici pur di entrare in quei costumi, costi quel che costi.
E tanto più le donne andavano da Lucilla per i costumi, tanto più si convincevano di dover dimagrire, tanto più smettevano di andare a comprare i dolci da Concetto ed obbligavano i mariti a fare lo stesso.
Ad inizio Giugno il negozio di Lucilla era pieno e la pasticceria di Concetto era vuoto, come mai accaduto prima.

(continua…)

Gli altri racconti ambientati a Belforte : 
- La fiaba di Equinozio Falsomiele
 http://disordinatamente.blog.tiscali.it/2008/10/02/le_cronache_di_belforte__la_fiaba_di_equinozio_falsomiele__1932214-shtml/

- La fiaba di Nicolino Tagliavia 
http://disordinatamente.blog.tiscali.it/2008/10/10/le_cronache_di_belforte__la_fiaba_di_nicolino_tagliavia_1934311-shtml/?doing_wp_cron 

4 commenti:

  1. UAUUUU lo sento tutto per me... ma ho del lavoro in scadenza speriamo di riuscire a leggerlo stanotte.
    Un bacio con schiocco!

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  2. meno male che con il tempo sei migliorato..... anche se .. hai messo gli anni attuali ma l'atmosfera sa più di Don Camillo e Peppone :-)

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  3. ...evvabbè...se rimane in famiglia...:-)

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