Stamattina una paziente mi faceva riflettere. Si parlava di come sta vivendo un momento tutto sommato positivo, di come la relazione sentimentale attuale sia discretamente soddisfacente e anche il lavoro. A 27 anni, per il 2011 non è poco.
E però non basta.
Non basta nella misura in cui non è stata mai bocciata, ha fatto l’università in tempi ragionevolmente celeri, ha trovato lavoro presto dopo un utile corso di formazione, ma non basta ad avere quel piccolo o grande “brava” dalla madre che sente necessario. Quel piccolo o grande “sono fiera di te”, che non dovrebbe essere un timbro alla nostra autostima di esseri umani, però vuoi o no vuoi spesso capita che sia così. Se non è la madre è il padre, se non è il padre è il partner.. diciamo persone che sono significative per noi. Mettiamola così, che può apparire più ostico, ma in verità è più semplice e generico. Il fatto che persone importanti per noi ci dicano “sono fiera/o di te”. Ma quanto è tremendamente importante? Quanto lo è, anche se spesso costruiamo la nostra vita anarchica o perfezionista nello sforzo di dimostrare che così non è?
Che poi, una volta la madre della tale signorina ebbe pure modo di dirglielo, ma l’effetto non fu molto consolatorio, semmai vissuto come ulteriore sfida a fare di più.
“eppure.. sa dottore.. se un domani avessi una figlia come me.. non sarebbe poi male come figlia..” .
Che se può sembrare una frase capitale, messa così, lo è ancora di più se si pensa che fino a qualche mese fa riteneva assolutamente improbabile avere figli, visto che si riteneva una matta da catena di forza. Di fronte ad una frase così importante non è semplice capire cosa dire. La scelta che ho compiuto io è stata quella di rafforzare non tanto il contenuto della frase, quanto il fatto che da lei partisse una considerazione su se stessa non dovuta al giudizio che ritiene gli altri abbiano di lei. Ed una tale considerazione, scevra dall’altrui giudizio (che per lei è spesso fondamentale), aveva anche una forte componente emotiva e per questo era più delicata ma anche enormemente più preziosa e potente.
E poi come al solito ho giocato con lei ha poker. Cioè, le ho detto “la domanda che NON le faccio, ma su cui la invito a riflettere.. e che è l’altro lato della medaglia rispetto a questa sua importante affermazione è.. lei avrebbe piacere ad avere una figlia che le somiglia.. ma lei come madre ritiene che sarebbe quanto simile o diversa rispetto a come è stata sua madre?”.
Che può sembrare una cosa molto spigolosa da dire. Probabilmente lo è. Ma il fatto che io questa domanda la proponga, ma senza obbligare alla risposta, è un modo per fare riflettere su una cosa intensa dando anche la possibilità di proteggersi.
Lo so, è una cosa complicata, ma sono abituato a lavorare così. Dialogo come delle non domande. Le persone che vedo sono libere di non rispondere, ma sanno che la risposta non devono darla a me ma a loro stessi e se ci riescono è nel loro interesse.
La risposta che mi ha dato è stata interessante.
Nel senso che lei vorrebbe essere in futuro una persona autonoma, ma ritiene anche di avere assunto dei modi di essere di sua madre, dei modelli, degli schemi spesso del tutto automatici e spesso li mette in atto.
Questo la stava portando a vedersi male. E mi ha chiesto “ma io come faccio.. come faccio a capire se qualche volta sono io che faccio le cose, oppure mi sto comportando come farebbe mia madre? Per fare un esempio.. io sono disordinata.. ma l’altro giorno mi stavo arrabbiando con il mio fidanzato perché non aveva apparecchiato bene.. e nel farlo mi sono sentita come mia madre.. allora sono come lei ?”.
Bella domanda.
Quanto siamo noi e quanto siamo i nostri genitori? Quanto siamo noi e quanto siamo ciò che ci è stato tramandato, insegnato, obbligato e quanto altro? Non è facile. Non è facile soprattutto perché noi non siamo il territorio del Risiko, la mappa con i confini ben precisi. Non è mica che noi possiamo dire questo è un modo di essere mio.. poi da lì in poi c’è il padre che ho dentro.. poi là inizia la mamma.. e così via. Non è mica così la nostra bella testolina eheheheh.. eh no..
Ad una domanda così non puoi rispondere. O sennò puoi rispondere in modo molto semplice, dicendo che il problema non esiste, perché se le idee dei nostri genitori sono dentro di noi, allora sono comunque parte di noi. Quindi dentro di noi c’è solo un noi e basta. Con tutto quello che ci sta dentro.
Ma per quanto ciò possa essere una risposta ad un quesito ostico, solo questo non si può accettare. Io non lo accetterei. Perché pur essendo una risposta, non dà comunque una prospettiva.
Ed avere una prospettiva è fondamentale.
Un dubbio come quello si può sciogliere, secondo me, solo attraverso il porsi un’altra questione, che tutto sommato è quella che stava nel fondo e non veniva detta. Che è questa . Crescendo, avventurandoci in questo percorso frastagliato un po’ amaro e un po’ dolce che è la vita, è naturale che ci confrontiamo con altre persone, con loro e di loro facciamo esperienza e tutto questo ci entra dentro nel bene e nel male. Cose dei nostri genitori sono dentro di noi. Non lo si può evitare. Non credo neanche che sia da evitare in verità. E perché?, sono comunque insegnamenti. Il problema non è quanto degli altri ci sia in noi. Il quesito è : quanto io sono convinto che “un modo di essere di mio padre o mia madre che è in me” è immodificabile ? Quanto determinati modi fare appresi, quanto determinate emozioni automatiche, sono immutabili ?
Perché il problema sta là.
Non è quanto di mio padre/madre c’è in me. Ma quanto tutto ciò lo possiamo elaborare. Quanto tutto ciò lo possiamo usare in modo nuovo oppure possiamo metterlo da parte.
La vita ci può insegnare tante cose. Non è detto ci piacciano tutte. Le persone che incontriamo possono darci delle cose che nel bene e nel male facciamo nostre. Non sempre sono cose positive. Ma queste cose possono essere pietre e possono essere creta. Se sono pietre sono schemi fissi che non possiamo cambiare. Se sono creta, sono qualcosa di malleabile, che possiamo mutare di forma, adattandolo al modo in cui noi vogliamo per noi stessi la nostra vita. Che è l’unica che abbiamo.
Ma se certe cose, certi insegnamenti e modi di essere (con noi stessi, col mondo), sono pietre o creta, lo decidiamo noi, in buona parte. Lo determina la nostra volontà di dichiarare a noi stessi che siamo troppo curiosi per fermarci adesso.
Siamo troppo curiosi per fermarci ora. Abbiamo troppo voglia di scoprire chi saremo domani, chi possiamo essere domani. Perché possiamo essere, per davvero, un sacco di cose.
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